Come sta cambiando il mondo della farmacologia? E’ quello di cui abbiamo discusso con la Professoressa Fiorella Amelia Filippelli, docente di Farmacologia all’Università di Salerno, dirigente medico all’Ospedale Ruggi D’Aragona di Salerno e membro della SIF, la Società italiana di Farmacologia.
Professoressa spieghiamo innanzitutto cos’è, concretamente e in dettaglio, la farmacologia per i non addetti ai lavori...
La farmacologia è lo studio degli effetti dei farmaci, è una materia che si insegna all’Università in tantissimi corsi di laurea, è una materia che serve molto al cittadino perché noi ci occupiamo di studiare non solo l’effetto dei farmaci ma anche i rischi che i farmaci ci fanno correre. Questo può essere molto importante perché purtroppo non tutti hanno la stessa competenza e dare una mano da questo punto di vista risulta utilissimo e infatti noi lo dispieghiamo in tanti modi nel nostro servizio clinico.
Perché la farmacologia è così importante nella quotidianità di noi cittadini?
Come ci siamo resi conto nel periodo del Covid, ad esempio, ci sono stati tanti falsi maestri che dicevano di conoscere il ruolo dei farmaci facendo prendere farmaci che non servivano, come tanti antibiotici. Questo è uno dei tanti cavalli di battaglia perché gli antibiotici, purtroppo, quando utilizzati male o quando non sono necessari creano delle resistenze che, quando risultano necessari, non fanno più effetto. Si stima che nel 2050 moriremo di malattie infettive perché non avremo antibiotici che ci curino.
Sostanzialmente perché è complementare alle indicazioni dei medici?
Io prima di tutto sono medico, e anche se non lo fossi e fossi farmacista specialista in farmacia clinica, avrei la competenza per poter discutere con i clinici delle migliori terapie. Nella nostra azienda ospedaliera quando i medici devono fare una terapia molto complessa con, magari, più di cinque farmaci, come è abbastanza frequente negli anziani, noi diamo il nostro contributo evitando delle interazioni dannose o che i farmaci non cooperino tra di loro ma abbiano un effetto negativo.
Immagino che la farmacologia abbia avuto un ruolo ancor più fondamentale durante il Covid, quando maggiore era la necessità di essere informati sulla adeguatezza e sulla personalizzazione delle singole terapie e sulle caratteristiche dei singoli farmaci…
Non so se ricorda ma, ad esempio, alcuni vaccini davano più effetti avversi nelle donne che negli uomini e ciò dipendeva dal fatto che, ad oggi, nelle sperimentazioni cliniche, si fanno partecipare più uomini che donne e da qui i risultati sono più utili per gli uomini che per le donne. Si è visto che anche dimezzando la dose i risultati sarebbero stati ancora utili ma gli effetti avversi sarebbero stati di meno. Per fare ciò c’è bisogno di tanti studi soprattutto di medicina personalizzata che tengano conto delle differenze di genere.
Lei è stata nominata lo scorso maggio referente per l’Italia per la farmacogenomica nel progetto europeo 1+ Million Genomes (1+MG). In cosa consiste questo progetto?
Questo è stato un grande onore per me, perché faccio parte di questo team con altri 26 paesi in Europa. Stiamo cercando di fare un passaporto farmacogenetico, cioè, fare in modo che le conoscenze sulla genetica di ciascuno di noi possa essere utile per un uso più personalizzato dei farmaci. Come noi siamo diversi fisicamente così lo sono le nostre proteine e poiché il farmaco, una volta che viene assunto da un organismo, viene metabolizzato ed eliminato e deve avere contatti con dei recettori se tutto questo non è nella norma e ci sono differenze nella struttura nelle nostre proteine allora un farmaco potrebbe diventare non utile o addirittura dannoso, soprattutto per quelle malattie più gravi come i tumori o le malattie immunitarie, per cui si fanno terapie molto impegnative. Avere la possibilità che ovunque ci sia una grande conoscenza della farmacogenetica e si possano fare questi esami, come ad esempio si fanno normalmente nel nostro ospedale. I nostri pazienti che devono assumere farmaci neoplastici o farmaci come gli anti aggreganti e gli anticoagulanti, prima di iniziare questa terapia fanno un esame farmacogenetico e se i loro geni sono compatibili con una buona efficacia del farmaco lo fanno altrimenti cambiano farmaco.
Al Ruggi d’Aragona di Salerno avete attivato la “riconciliazione terapeutica”. Di cosa si tratta?
La riconciliazione terapeutica tiene conto della farmacogenetica ma tiene conto anche di tutte le problematiche che il paziente può avere. Se il paziente è anziano e ha un’insufficienza renale o il suo fegato non funziona sicuramente i livelli di alcuni farmaci possono aumentare, allora noi, per esempio, facciamo in modo che si possano misurare i livelli di farmaci nel sangue e soprattutto andiamo a riconciliare le terapie vedendo tutti i farmaci che il paziente prende valutando se alcuni di questi possono essere sospesi o ridotti in quantità perché quel particolare paziente possa avere un beneficio da questa riconciliazione