Una recente indagine dell’Osservatorio Nazionale Permanente di Simeu, Società Italiana Medicina d’Urgenza, sottolinea la situazione critica che vivono i Pronto Soccorso. Secondo quanto emerge mancano circa 4000 medici nei PS e, inoltre, prosegue la tendenza all’abbandono dei medici che ci lavorano. Parleremo di questa situazione insieme al Dott. Giuseppe Noschese, Presidente dell’IDMA, International Distaster Medicine Association.
Dottore, la situazione sembra essere davvero critica, vorrei approfittare della sua esperienza e professionalità per provare a capire l’origine di questo problema. Secondo lei come siamo arrivati a tutto ciò?
Il motivo è duplice, da una parte c’è questo accesso con i test alla facoltà di medicina che è diventato uno spartiacque sia per la difficoltà che per il fatto che i ragazzi hanno perso l’entusiasmo in relazione alle difficoltà che si affrontano per accedere. È stata fatta una programmazione sbagliata con tutti i medici che vanno in pensione, non c’è equilibrio quelli che escono dall’attività professionale e quelli che devono essere formati per accedervi. La situazione è attualmente drammatica e non se ne vede una via d’uscita. Qualora i test fossero aboliti, anche l’anno prossimo, ci vogliono 6 anni per formare un medico e altri 5/6 per specializzarlo, il problema quindi lo andremmo a risolvere, relativamente, in 12 o 13 anni. In questo periodo il nostro sistema sanitario andrà in contro a gravi criticità, questo è dovuto a una miopia politica che ha sbagliato la programmazione sanitaria.
In questo quadro si inserisce anche la figura del medico di famiglia, la cui funzione sembra essersi persa nel tempo, questo comporta un mancato filtro tra il problema del paziente e l’accesso al pronto soccorso…
Assolutamente. Il medico di famiglia, che una volta era una figura eroica che nei piccoli centri godeva di una stima e onorabilità da parte dei pazienti infinita, un po’ alla volta si è ritratta. Rappresenta al momento un riferimento relativo e molta gente non sa neanche chi è il proprio medico di famiglia. E’ diventato un ricettificio. Tanti codici bianchi e verdi che si vedono negli ospedali potrebbero essere gestiti dal medico di famiglia. È un’eminenza grigia del quale non si riesce ad avere più contezza.
Un altro dato interessante da analizzare è che su 1033 medici di emergenza-urgenza che nell’ultimo anno hanno lasciato i Pronto Soccorso 576 sono invece gli ingressi. Questo è un indice anche di quanto i PS non siano più attrattivi per i giovani medici. Quale il motivo secondo lei?
La causa è la miopia politica che non ha saputo dare al medico dell’emergenza la giusta valenza, fondamentale per poter imparare la propria professione ed indispensabile per il sistema sanitario. Questo avrebbe obbligato gli enti preposti ad una formazione dei medici. Molti medici hanno paura di affrontare l’ambito emergenziale e questo è un motivo ulteriore che ha allontanato i giovani medici dai pronto soccorso. C’è da dire anche che molti pronto soccorso sono stati chiusi, anche a Napoli. Questo ha portato un surplus di lavoro a quelli residuati. I policlinici napoletani inoltre, pur’ avendo tante volte mostrato la volontà di aprirne uno, non l’hanno fatto. Questo comporta un aggravio di lavoro ai medici di pronto soccorso che a Napoli è ricaduto sullo storico Ospedale Cardarelli e sull’Ospedale del Mare che sono diventati i due terminali su cui affluisce la maggior parte dell’emergenza di tutta la Campania. Ci sono altri ospedali che svolgono la funzione di raccolta in emergenza, ovvero San Paolo e Loreto Mare, che però sono più piccoli.
Questo discorso è ampliabile, in generale, alla professione del medico? Quella della medicina è una strada che continua a suscitare sempre lo stesso interesse?
Assolutamente no, i nostri giovani non sono predisposti al sacrificio come probabilmente è stato fatto da tanti di noi, con degli stipendi ridicoli e una serie di attività che possono portare problematiche personali. Tutti questi atti di violenza sono legati al surplus di pazienti che nei PS napoletani trovano un argine invalicabile, i giovani hanno paura di affrontare tanta gente che arriva in maniera aggressiva pronta a arrecare danni fisici. Questo è un altro problema ostativo alla pratica professionale in ambito emergenziale.
E’ possibile secondo lei far riacquisire fascino a questa professione? Chi potrebbe agire in questa direzione?
Dovrebbe essere il decisore politico con una serie di scelte, implementando la formazione legata al personale di Pronto Soccorso, incentivandoli con un risvolto economico interessante. È una professione con turni di guardia molti gravosi e con molte criticità legate all’intolleranza di tanti pazienti e familiari, forse anche giustamente, rispetto alle file nei Pronto Soccorso che non hanno la pazienza di sopportare.
Continuando sul tema parliamo di Trauma Center, qual è la situazione che vivono oggi?
In questo momento la situazione dei Trauma Center in Campania non è brillantissima, pur avendone su carta due, entrambi presentano criticità nelle attività a causa della riduzione del personale preposto. Gli operatori in ambito di Trauma Center devono avere un’alta formazione. Un paziente politraumatizzato è un paziente polispecialistico e se chi si occupa del paziente non ha una grande formazione può avere problemi a gestire soluzioni tanto critiche.
In quest’ottica nell’ultimo periodo desta grande attenzione il fenomeno del bradisismo nella zona flegrea. Siamo pronti ad affrontare un eventuale evento disastroso?
Ritorniamo sempre al problema della formazione del personale, situazione in cui un notevole numero di pazienti arriva nello stesso presidio necessita di una formazione altamente qualificata e di una serie di training che facciano fare esperienze su situazioni drammatiche che potrebbero emergere da catastrofi generate dall’uomo o dalla natura.
In conclusione vorrei chiederle quali sono le soluzioni che secondo lei dovrebbero essere apportate al nostro sistema sanitario per riuscire ad arginare i problemi di cui abbiamo discusso?
Non vedo una facile risoluzione. Ci sono varie criticità da dover risolvere. Il primo problema è di carattere numerico, il secondo di carattere formativo ed terzo di carattere economico.