In questi anni sono stati stati davvero tanti professionisti in ambiti meno noti tra le professioni sanitarie che hanno dato un enorme e prezioso contributo alla lotta contro la pandemia Sono stati alle volte definiti invisibili ma sappiamo che hanno caratterizzato una fetta importante all’interno dell’apparato assistenziale, preventivo e riabilitativo del nostro sistema sanitario. Di questo abbiamo parlato con il dottor Franco Ascolese, presidente dell’ordine che rappresenta ben 19 albi delle Professioni Sanitarie.
Solo la Campania conta ben 15mila professionisti sanitari con 19 diverse professioni nell’area tecnica, riabilitazione e prevenzione. Cosa restituiscono nello specifico tali professionisti?
La domanda è pertinente e nel merito. Nel 2018 il legislatore ha voluto costruire la terza gamba del Servizio Sanitario Nazionale, oltre all’ordine dei medici e a quello degli infermieri e delle ostetriche tutte le altre professioni sono state raccolte nel maxi ordine delle professioni sanitarie. Le 19 professioni spaziano dall’area tecnico-sanitaria a quella della riabilitazione per finire a quella della prevenzione. Partecipano a tutti i processi della continuità assistenziale, basti pensare ai pronto soccorso, dove troviamo tecnici di radiologia, tecnici di laboratorio e lo stesso vale per l’area della riabilitazione, in cui troviamo fisioterapisti, logopedisti, terapisti occupazionali, finendo poi a quello che riguarda l’ambiente, la salute e il lavoro con i tecnici del lavoro e, per esempio, gli assistenti sanitari. I nostri operatori lavorano sia nell’ambito delle strutture pubbliche che nell’ambito del privato accreditato e anche nel privato puro. Il legislatore ha voluto queste professioni all’interno dell’ente pubblico per recuperare dei gap che queste professioni non hanno potuto esperire, non hanno potuto dare il loro contributo perché in un discorso di tipo economico si prendevano altri professionisti e non questi.
Dalle sue parole sembra intendersi che la pandemia abbia offerto un’opportunità preziosissima per questi professionisti...
Io credo che il PNRR abbia dato la possibilità di pensare ad un nuovo modello di servizio sanitario nazionale. La legge 833 del ’78 è stata una grande legge ma questi quarant’anni l’hanno portata all’emarginazione. L’economia conta più del momento sanitario, sicuramente è importante tener conto dei costi ma valorizzare queste professioni significa economizzare. Questo contributo può essere dato sia in ambito di prevenzione primaria che secondaria, volendo fare alcuni esempi, per prevenzione primaria intendiamo educazione alla salute, cioè una forma di alfabetizzazione sanitaria alle persone sui corretti stili di vita.
Tornando alla pandemia i nostri colleghi, alcuni purtroppo andati via, hanno dato un contributo molto importante alla lotta alla pandemia, in modo particolare nei pronto soccorso e nei reparti Covid.
Lei giustamente parla di alfabetizzazione sanitaria. Molte di queste 19 professioni ad oggi non sono conosciute, secondo lei perché?
Dal 2018 sono entrate all’interno di un contesto ordinistico, precedentemente erano delle associazioni, si guardava l’ospedale come unico centro di cura come riferimento per le fasi di cura, riabilitazione e assistenza ma poco è stato dato al territorio. Queste professioni possono dare molto attraverso le case di comunità, costruendo una rete di prossimità.
Molte sono state le difficoltà in questo periodo per i professionisti nella richiesta della dose booster che ha bloccato molti di essi. Ad oggi qual è la situazione per il sistema sanitario?
Il decreto 172 che ha emanato il governo ci ha visti coinvolti nel cercare di recuperare tutti i professionisti che non avevano ottemperato all’obbligo vaccinale. Dal ministero ci sono stati segnalati circa 2500 iscritti all’ordine che non si erano sottoposti a vaccinazione, abbiamo sospeso 616 professionisti, ad oggi sono 200. La normativa però in questo momento sembra essere in contrasto.
In conclusione, ad oggi cosa crede che debbano avere i professionisti sanitari per far sì che gli venga attribuito il giusto merito?
C’è bisogno di una cooperazione tra i diversi livelli di responsabilità: Regione, ASL e Comuni. Occorre anche un’alleanza terapeutica tra tutte le professioni in maniera multidisciplinare e la partecipazione alla diagnosi di comunità. Potenziare l’assistenza di prossimità nelle case di comunità e identificare la casa come primo luogo di cura creando un rapporto di fiducia tra i cittadini e i professionisti. In ambito di assunzioni noi vediamo come le direzioni generali ne facciamo ancora poche e così non si può ridisegnare il sistema. Bisogna far capire l’importanza del contributo che le professioni sanitarie possono dare al Sistema sanitario regionale.