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IN ITALIA 7 PAZIENTI SU 10 NON ASSUMONO CORRETTAMENTE I FARMACI. IL TRIBUNALE PER I DIRITTI DEL MALATO NASCE PER FACILITARE L’ASSISTENZA TERRITORIALE E COMBATTERE I DATI SULLA SCARSA ADERENZA TERAPEUTICA

Ad oggi in Italia ben 7 pazienti su 10 non assumono correttamente i farmaci a causa di diversi fattori che incidono in modo negativo sulla salute di tanti cittadini affetti da patologie diverse dal Covid, che dalla sua ha complicato ancor di più la situazione. Ne abbiamo parlato con Lorenzo Latella, presidente CittadinanzaAttiva Campania, che negli scorsi mesi ha lanciato la rete del tribunale per i diritti del malato per facilitare l’assistenza territoriale e combattere i dati allarmanti riguardo l’aderenza terapeutica, ossia il grado in cui il paziente rispetta le terapie prescritte dal medico.

Come è cambiato il fenomeno dell’aderenza terapeutica dall’inizio della pandemia?

Purtroppo i dati riguardo l’aderenza terapeutica nell’ultimo sono davvero sconfortanti, si parla di 52 milioni di prestazioni in meno in tal senso. Questo significa che pazienti con diverse patologie non sono riuscite a seguire l’iter di cura di cui avevano bisogno. Oltre a questa problematica si è avuto anche un deficit di accesso ai farmaci, perché tutti quei medicinali che non potevano essere ritirati nelle farmacie, ma solo in ambito ospedaliero, in un primo momento non sono stati erogati. Di qui, dunque, le problematiche connesse alla pandemia: essa non arreca solo danni diretti a causa del Covid, penso ai contagi e ai decessi, ma porta con sé tanti problemi per i pazienti con altre patologie che in quest’ultimo anno e mezzo hanno visto ridursi l’offerta di salute e in molti casi non hanno nemmeno potuto accedere ai farmaci necessari.

Quali sono i fattori che hanno portato a dei dati così allarmanti?

In Italia ci sono molti fattori culturali che limitano già di per sé l’aderenza terapeutica. Per esempio nel nostro Paese siamo abituati a sospendere la cura nel momento in cui magari ci sentiamo meglio, mentre al contrario spesso si fa un uso eccessivo di alcuni farmaci come gli antibiotici. Inoltre c’è una scarsa organizzazione ed integrazione tra ospedale e territorio, quindi tra il percorso ospedaliero e la capacità del territorio di organizzare servizi che possano garantire la terapia adatta. Mi riferisco in particolare al fatto che spesso non c’è dialogo tra i diversi specialisti e quindi il paziente non ha la vera presa in carico territoriale dopo l’episodio significativo che viene gestito in ospedale. Ci sono poi chiaramente dei limiti economici in particolare per i cittadini del Sud, perché alcuni farmaci per le malattie rare purtroppo non sono riconosciuti dal Sistema Sanitario Nazionale e dunque sono a pagamento. Così l’insieme di questi fattori porta i cittadini italiani ad avere una scarsa aderenza terapeutica rispetto al proprio percorso di salute.

Come migliorare questi dati e che ruolo può svolgere la telemedicina in questo senso?

Serve innanzitutto una ristrutturazione della medicina territoriale, intesa come integrazione dei servizi tra medici di medicina generale, distretti territoriali, farmacisti, infermieri e comunque servizi di prossimità che riescano a prevenire la patologia. Così si sgraverebbero di fatto anche gli ospedali, che oggi vengono visti come unico punto di accesso sanitario e che invece dovrebbero occuparsi solo degli eventi acuti e quindi della fase specialistica di terzo livello. In secondo luogo è necessario lo sviluppo della telemedicina e l’integrazione tra le Regioni, perché ad oggi tali istituzioni faticano a dialogare tra di loro nonostante abbiano sviluppato sistemi di telemedicina. Quindi se un paziente migra da una Regione all’altra non porta con sé tutta la sua storia clinica e questo è un problema assolutamente da risolvere. Purtroppo come tante altre cose in Italia anche la telemedicina è ancorata ad iter burocratici: in questo caso tale lentezza è legata ai costi medi delle prestazioni in telemedicina. Uno degli obiettivi da raggiungere quanto prima è la deburocratizzazione di tutto il sistema, che riguarda non solo i percorsi di accesso dei pazienti, ma anche tutto ciò che riguarda il lavoro che i medici di base, di medicina generale o specialisti ambulatoriali devono fare nel percorso di presa in carico.

In generale la pandemia ha monopolizzato il sistema sanitario facendo passare in secondo piano tante patologie altrettanto gravi. Come potenziare le forme di controllo e di assistenza?

Personalmente insisto molto sul percorso di integrazione tra territorio ed ospedale, perché è qui che si gioca tutta la sfida del percorso di presa in carico soprattutto dei pazienti cronici. Siamo un paese che sta invecchiando molto velocemente senza programmazioni adeguate, il che ci porta anche ad una parte dei morti per Covid legati all’età. Riuscire a fare una programmazione organica, integrata e allo stesso tempo organizzare servizi territoriali di prossimità che interagiscono col sistema ospedaliero solo quando c’è bisogno di un terzo livello di cura migliorerebbe tutto il sistema, garantirebbe più servizi e consentirebbe di tenere in carico le persone in modo più efficace. Ma soprattutto genererebbe percorsi virtuosi di salute pubblica, cosa che in Italia ancora manca purtroppo. In questo sistema, per chiudere, le associazioni possono e devono fare la differenza, perché hanno una capacità di lettura ulteriore rispetto al sistema istituzionale e soprattutto hanno una velocità di adattamento rispetto alle situazioni contingenti maggiore come è stato dimostrato nell’ultimo anno.

In questo senso CittadinanzaAttiva Campania ha lanciato la rete del tribunale del malato, di cosa si tratta?

Il tribunale per i diritti del malato è una rete di cittadinanzaAttiva attraverso la quale l’associazione cerca di fare tutela dei cittadini che segnalano disservizi sanitari o che hanno la necessità di accedere ai servizi sanitari. Cerchiamo così di risolvere il problema di trasparenza in cui tutto il Paese è un po’ carente e proviamo così ad accompagnare i cittadini nel loro percorso di salute attraverso questa struttura.

Che contributo può dare ai cittadini in termini di supporto alla lotta alla pandemia?

Noi ci siamo dedicati attraverso il tribunale alla diffusione di informazioni corrette rispetto alla pandemia soprattutto in un momento in cui c’è stata una moltiplicazione di informazioni poco attendibili. Così abbiamo attivato servizi di tutela e supporto dei cittadini, soprattutto dei pazienti, abbiamo distribuito insieme alla Regione Campania circa 3 milioni di mascherine su tutto il territorio. Abbiamo dovuto modificare il nostro approccio alla cittadinanza aprendo sportelli di consulto psicologico e di accompagnamento di servizi. In più il supporto si estende ancora di più in concomitanza della campagna vaccinale con percorsi di accompagnamento fisico a persone che non possono raggiungere gli hub vaccinali.

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