Neonati, attenzione al neurosviluppo

Lo sviluppo del neonato è sempre più oggetto di studio e di attenzione soprattutto per ciò che riguarda l’ambito della psicomotricità, indicativa di una complessità più ampia da non sottovalutare. Ne parliamo con la dottoressa Antonia Romano, neonatologa A.O.P. Federico II.

Affrontiamo un tema molto delicato con lei. Perché è così determinante valutare lo sviluppo psicomotorio del bambino nei primi anni di vita?

Vorrei innanzitutto parlare del concetto di sviluppo psicomotorio, questo è un processo straordinario che fa sì che un individuo appena nato possa, attraverso delle fasi ben determinate, diventare poi l’individuo adulto che siamo abituati a vedere. Un individuo che, ad esempio, è incapace di mantenere la posizione seduta e che attraverso delle tappe comincia prima a stare seduto e poi ad alzarsi e camminare fino a compiere atti di motricità molto più complessi che richiedono addirittura la messa in pratica dell’intelligenza comincerà ad essere un individuo che vorrà comunicare con il suo simile adottando delle strategie di comunicazione, non solo il linguaggio, e acquisendo man mano la capacità di relazionarsi e di avere cura di se stesso per avere una vita sociale. Io tengo molto alla valutazione dello sviluppo psicomotorio, quello che sembra una cosa semplice si verifica attraverso fasi molto complesse che possono subire un danno a qualsiasi livello. La cosa straordinaria è che il cervello non è un organo statico ma assolutamente dinamico e la sua maturazione continua durante tutta l’infanzia e adolescenza e ciò determina l’acquisizione di determinate funzioni. Nel momento in cui c’è un danno però se siamo capaci di cogliere precocemente i campanelli d’allarme possiamo intervenire sulla capacità di plasticità del sistema nervoso, possiamo cioè ancora, attraverso stimoli esterni, modificare la maturazione del cervello e quindi l’assetto.

Le difficoltà di comunicazione nel bambino, non ancora treenne, possono avere diverse cause e motivazioni. Come esaminare e capirne l’origine?

Parliamo di disturbo del linguaggio o, in ambito ancora più complesso, di disturbo della comunicazione. Noi sappiamo che possiamo comunicare non solo con il linguaggio parlato ma anche attraverso i gesti. Un segnale che deve assolutamente passare è che, mentre negli anni precedenti un ritardo del linguaggio veniva preso in considerazione e trattato dopo i tre anni, adesso si è visto che il linguaggio dev’essere valutato fin da subito perché può sottendere diverse patologie, alcune delle quali posso essere trattate e il cui decorso può essere modificato col nostro intervento. Un bambino, ad esempio, può non parlare perché non sente quindi non può mettere in atto una cosa che non conosce. Ciò che si verifica nel nostro cervello non è innato bensì è il risultato della maturazione del cervello che è determinata geneticamente con l’interazione dell’ambiente, quindi attraverso l’apprendimento. È chiaro che un bambino sordo è un bambino che non parla, potrebbe però non parlare perché ha problemi a carico dell’organo della fonazione, oppure potrebbe non parlare per un disturbo della comunicazione ancora più complesso come l’autismo. C’è quindi la necessità di avere un approccio multidisciplinare alla patologia neuro-evolutiva del bambino.

Quali sono i campanelli di allarme che aiutano un genitore a essere informato e intervenire in modo appropriato?

Dobbiamo chiarire un concetto: lo sviluppo psicomotorio si verifica attraverso delle fasi che coinvolgono le varie aree quali ad esempio quello della motilità grossolana ma anche quello della motricità fine a carico delle mani, l’area del linguaggio, dell’intelligenza o l’area della socialità. I campanelli d’allarme possono essere molteplici, i genitori devono sapere che esistono delle variabilità che sono ancora fisiologiche e quindi devono essere capaci di cogliere questi campanelli ma anche sapere che ci può essere un qualcosa di fisiologico che si discosta dalla norma.

È comunque importante sapere che lo sviluppo di ogni bambino è oggetto di una variabilità tempistica che non ricade sempre in una condizione di patologia…

Assolutamente. Per poter conoscere il patologico c’è bisogno di conoscere il fisiologico e quindi dalle traiettorie critiche andiamo a valutare quelle atipiche. Ci sono dei campanelli che, quando presenti, devono essere immediatamente valutati. Un bambino solitamente mantiene la posizione seduta ad otto mesi, quella quadrupedica, quindi gattona, verso i dieci mesi, si alza intorno ai dodici e cammina verso i dodici-quindici mesi. È chiaro però che, sebbene io mi aspetti che queste tappe vengano rispettare in questi mesi, esiste anche un range, un bambino mantiene la posizione seduta circa ad otto mesi con un margine di più o meno due mesi, l’importante è che l’esame neurologico sia nella norma. Altri campanelli d’allarme possono essere bambini che hanno lo sguardo sfuggente, che non richiedono il contatto, in cui non è presente la lallazione e successivamente che non parlano oppure se un bambino tra dodici e quindici mesi non indica, quello che noi definiamo ‘pointing’, allora lì potrebbe esserci un disturbo della comunicazione. I campanelli d’allarme sono tanti, alcuni molto evidenti al genitore, soprattutto quelli che si verificano a carico dell’aspetto motorio. Un bambino che non cammina si vede, ce ne sono tanti altri però. Io invito i genitori a fare attenzione se per esempio quando la mamma vuole prendere il bambino in braccio non anticipa il movimento, i bambini solitamente aprono le braccia e tendono verso la mamma, oppure se quando vengono imboccati loro non aprono la bocca, questo sta a dimostrare la capacità di comprendere le intenzioni dell’altro. Spesso i genitori mi dicono che il bambino non indica ma li prende per mano e li porta, quello purtroppo è un campanello d’allarme perché il bambino non differenzia se dall’altro. Un bambino che non parla e che prende il genitore per portarlo all’oggetto del desiderio senza indicare va necessariamente valutato.

Quali aspetti sono cambiati rispetto alla pediatria di qualche decennio fa, a quando si pensava di attendere i tre anni prima di consultare uno specialista?

In realtà è cambiato il concetto di acquisizione delle tappe dello sviluppo psicomotorio, innanzitutto prima si pensava ad un cervello statico in cui la genetica ne determinava la maturazione e man mano comparivano le varie funzioni. Si è visto invece che il cervello cresce e si sviluppa grazie alla spinta genetica ma ci dev’essere necessariamente la spinta ambientale. I bambini deprivati da stimoli visivi purtroppo possono presentare disturbi visivi, addirittura di cecità retinica, nel senso che non vengono a svilupparsi le aree della corteccia visiva. Adesso si vuole anticipare tutto questo perché si è visto che, poiché il cervello è un organo plastico che si sviluppa in base all’esperienza, se noi andiamo a sviluppare alcune funzioni possiamo averne il recupero.

Quando la diagnosi è confermata, nel caso della sindrome dello spettro autistico in che modo indirizzare i genitori e come si può intervenire in fase neonatale?

Per lo spettro autistico noi non valutiamo soltanto la fase neonatale ma valutiamo i bambini soprattutto nei primi anni di vita. La cosa importante nel momento in cui ci sono dei campanelli d’allarme è la comunicazione perché si è visto che i genitori accettano la diagnosi anche in base a come gli viene comunicata. È fondamentale dire che, dal momento in cui si parla di disturbi del neurosviluppo, molto spesso coesistono e cambiano di traiettoria, nel senso che una patologia si può trasformare in un’altra patologia. Per la presa in carico l’approccio è multidisciplinare, fondamentale è la figura del pediatra, ma non solo, è fondamentale anche quella dell’insegnante perché spesso sono gli insegnanti che rilevano questi campanelli d’allarme. La diagnosi si fa grazie alla tempestività di un insegnante o di un genitore o del pediatra di fiducia che se ne accorge, per avere una diagnosi più specifica è necessario rivolgersi al neuropsichiatra infantile ma anche ad altre figure professionali. Nell’esempio fatto in precedenza di un bambino che non parla perché sordo, è fondamentale una valutazione dall’audiologo prima di pensare a qualcosa di ancora più serio oppure una visita foniatrica. Come la diagnosi anche la presa in carico deve essere multidisciplinare, il servizio nazionale deve prendere in carico non solo il bambino ma anche la famiglia.

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