Affrontiamo una patologia in forte crescita e per la quale c’è ancora troppa poca informazione, l’endometriosi. I numeri sono allarmanti e indicano che il 15% della popolazione femminile ne è affetta, si tratta di una patologia cronica che vede una grossa problematica nel dilatarsi dei tempi di diagnosi.Ne parliamo con il dottor Giuseppe Bifulco, direttore del dipartimento materno ed infantile dell’azienda ospedaliera universitaria Federico II.
I numeri sono veramente allarmanti riguardo una patologia ancora poco conosciuta. Volendo fare chiarezza, che cos’è l’endometriosi?
L’endometriosi è una malattia molto diffusa che colpisce l’apparato genitale femminile, in prevalenza le ovaie. È la localizzazione di cellule endouterine al di fuori dell’utero, prevalentemente sulle ovaie. È una malattia estremamente disabilitante, queste localizzazioni di cellule endometriali al di fuori dell’utero determinano una grave sintomatologia nelle pazienti, certamente dolorosa ma che riduce anche in maniera significativa la loro qualità di vita. Parliamo di mestruazioni estremamente abbondanti e dolorose, dolore durante i rapporti sessuali. Il tema dei numeri è cruciale, probabilmente è una malattia sottovalutata, ad oggi in Italia 3 milioni di donne sono affette da questa patologia e in Europa parliamo di circa 15 milioni. Dobbiamo immaginare che tutta questa patologia si riverbera sull’outcome riproduttivo delle donne e su tutta quella che è la programmazione di una famiglia.
Quali sono i sintomi e il primo campanello d’allarme? Quali sono gli effetti con l’avanzare dell’età?
Il sintomo cruciale e primitivo che deve accendere un campanello d’allarme è la mestruazione abbondante e dolora e il dolore pelvico in generale che ha una certa cronicità.
Noi sappiamo, ed è un dato della comunità scientifica internazionale, che le donne vagano prima di una diagnosi fino a 10 anni tra i vari specialisti in ginecologia, gastroenterologia e urologia, senza trascurare tutte quelle condizioni che determinano degli accessi ad altri tipi di specialisti come psicologi o psichiatri. Questo vagare determina un serio peggioramento dello stadio della malattia. Guardando gli studi più importanti ci dimostrano che spesso la patologia viene diagnosticata già negli stadi più avanzati.
Da cosa dipende, secondo lei, tutto ciò?
È proprio questo vagare tra gli specialisti. Il sintomo del dolore pelvico cronico o la dismenorrea sono sintomi piuttosto aspecifici. Esistono tanti studi che ci documentano come questo sintomo possa essere confuso con tante altre patologie come la sindrome del colon irritabile o le cistite interstiziali o tutta un’altra serie di neuropatie del distretto pelvico.
Valutando la situazione che lei ha delineato esistono delle terapie risolutive per tale patologia?
Esistono delle cure e proprio per questo noi dobbiamo lavorare sulla prevenzione riducendo quei tempi di cui abbiamo parlato. Cure farmacologiche, e quindi non chirurgiche, anche abbastanza banali come un semplice progestinico può avere un’azione sull’endometriosi. Esiste anche l’eradicazione chirurgica in determinati casi che in genere prevede l’uso di tecniche minimamente invasive laparoscopiche. Queste ultime sono in grado di restituire una vita normale anche dal punto di vista riproduttivo. Si deve sapere che nel momento in cui c’è un campanello d’allarme va ascoltato con degli specialisti.
È per questo che il policlinico Federico II a marzo ha offerto una giornata di visite gratuite a tutte le donne?
Abbiamo riscontrato un grande segnale visto che i posti disponibili sono subito esauriti. Questo significa che c’è la coscienza della necessità di sottoporsi ad una visita specialisti e da parte delle donne di avere un accesso nelle strutture ospedaliere qualificate.