Con la chirurgia tuteliamo il vostro viso

ANTONIO CASELLA

SPECIALISTA DEL MAXILLO-FACCIALE: GLI INTERVENTI SONO SEMPRE MENO INVASIVI GRAZIE ALL’UTILIZZO DEL DIGITALE. I COMPUTER SONO DETERMINANTI PER MASSIMIZZARE I BENEFICI E MINIMIZZARE I DISAGI

Per conoscere nello specifico in quali campi opera un chirurgo maxillo-facciale e come lavora per tutelare il nostro viso abbiamo interpellato il dottor Antonio Casella, dentista e chirurgo maxillo-facciale, che ci ha portato anche all’attenzione tutte le novità che rendono meno invasivo questo tipo di intervento.

Quali sono i campi in cui opera la chirurgia maxillo-facciale?

La chirurgia maxillo-facciale è una specialità che si occupa di tutto il distretto maxillo-facciale partendo dalle orbite per finire al collo. Ci occupiamo del cavo orale in toto: dalle malformazioni patologiche, alle fratture, fino alla parte oncologica, quindi lesione precancerosa del cavo orale. Inoltre ci interessiamo di chirurgia orale avanzata: per esempio ripristiniamo una masticazione adeguata con interventi di chirurgia implanto-protesica avanzata di altissima qualità, neoplastica, mentoplastica. E poi spaziamo anche nella chirurgia funzionale dell’articolazione temporo mandibolare sia conservativa che viceversa.

Quando e come si interviene per un intervento maxillo-facciale?

Quando ci sono dismorfie cranio-facciali o alterazioni morfologiche del distretto cranio-facciale delle basi ossee interviene la chirurgia ortognatica dei mascellari, che ci permette di modificare la base ossea in relazione al tavolato esterno. Tramite l’ortodonzia prechirurgica, inoltre, si possono portare i ragazzi ad una chirurgia pre-ortognatica e successivamente fare una chirurgia sia funzionale che estetica. Si interviene sempre dal cavo orale, quindi senza intaccare la parte esterna, e soprattutto bisogna fare sempre fare una diagnosi precisa e corretta affinché si possa dare una terapia adeguata e soddisfare le richieste del paziente.

Per quanto riguarda una delle malformazioni più note della bocca, il labbro leporino, come si interviene in questo caso?

Seguendo dei protocolli internazionali standardizzati a seconda della schisi si fa una diagnosi ben precisa e poi si interviene con operazioni programmatiche negli anni che nell’arco del tempo ti portano a rettificare la malformazione. A seconda del tipo di labbro leporino del paziente si programma fin da piccoli la serie di operazioni che andranno fatte nel corso degli anni fino ad una guarigione completa.

Quanto dura la fase post-operatoria?

Dipende dal tipo di intervento: nel caso di tessuti mobili si parla di 2-3 settimane, mentre per quanto riguarda i tessuti duri, quindi le basi ossee, la fase post operatoria più o meno un mese affinché l’osteointegrazione si stabilizzi.

Quali sono le ultime novità apportate nel campo della chirurgia maxillo-facciale anche dal punto di vista tecnologico?

Le novità maggiori provengono dalle nuove tecniche di ripristino degli impianti utilizzati da pazienti edentuli, ovvero coloro che sono portatori di protesi mobili superiori ed inferiori. Inoltre, grazie alle nuove tecnologie siamo arrivati ad ottenere una bassissima invasività nel campo degli interventi maxillo-facciali. Per esempio non prendiamo più le impronte dei denti con i vecchi sistemi, ma è tutto fatto in digitale. Inoltre tutta la programmazione chirurgica viene fatta al computer per massimizzare i benefici del paziente e dall’altra minimizzare i disagi. Cerchiamo poi di non fare più una chirurgia open, ma una chirurgia coperta affinché il paziente abbia anche un percorso operatorio molto più snello e rapido.

Molto è stato fatto però grazie anche all’utilizzo di biomateriali innovativi…

Ovviamente, queste procedure richiedono anni di studio soprattutto per quanto riguarda i biomateriali utilizzati. Poi anche per quanto riguarda gli impianti stessi, cerchiamo costantemente di alzare l’asticella della qualità nella ricerca del biomateriale migliore. Infatti qualitativamente migliori sono i biomateriali che compongono gli impianti, più duraturi saranno quest’ultimi nel medio-lungo termine. Abbiamo due tipi diversi di biomateriali: quelli di rigenerazione ossea autonomi, ovvero quelli che vengono prelevati direttamente dal paziente e successivamente arricchiti dal PRF, una metodica che si basa sul prelievo di sangue, la centrifuga dello stesso e l’utilizzo della parte nobile contenente numerosi enzimi e proteine di biostimolazione. Dall’altra parte abbiamo poi i biomateriali prodotti dalle grandi case farmaceutiche, i cui standard sono davvero elevatissimi così come la resa nei pazienti nel lungo termine.

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