Canta che ti passa: gli effetti benefici della cantoterapia

Il canto ci mette in rapporto con la parte più istintiva ed emozionale di noi stessi, e attraverso di esso i sentimenti e le emozioni nate dalle esperienze di vita trovano l’espressione più compiuta; per questo la “cantoterapia” ha un posto importante nell’ambito delle pratiche musicoterapiche.

Secondo studi tedeschi, tra chi canta e chi pratica la corsa di fondo c’è molto in comune: in entrambi, lo sforzo produce benessere, poiché sia i cantanti che i podisti rilasciano oppioidi endogeni, che agiscono da neurotrasmettitori inibitori del dolore e dello stress.

Ma il canto non solo migliora l’umore, è anche una forma di ginnastica fisica. Per produrre suoni, ci serviamo dei polmoni, della laringe e delle corde vocali; respiriamo profondamente e allarghiamo la cassa toracica, mettiamo in funzione i muscoli della schiena e massaggiamo l’intestino. E ancora, l’ossigeno nel sangue aumenta, il cuore batte più velocemente, il metabolismo funziona meglio, e il corpo diventa una cassa di risonanza di vibrazioni positive.

Cantando, vengono attivate simultaneamente numerose aree del cervello: il tronco cerebrale, il sistema limbico e la corteccia cerebrale vibrano, il centro del linguaggio e quello delle emozioni sono in piena attività. La scienza spiega questo fenomeno con le prime impressioni che ognuno di noi riceve dal mondo esterno già nel grembo materno. Da neonati, molto prima di comprendere il linguaggio, riconosciamo la dinamica dei suoni: alti e bassi, lenti e veloci. Le canzoni che ricordiamo istintivamente sono quelle più radicate nella nostra infanzia. Chi ha avuto un ictus e ha perso parola, spesso può ancora canticchiare melodie, chi soffre di demenza ricorda le parole di una canzone antica.

Quando ad un concerto la pop star dirige il microfono verso la folla che canta all’unisono, l’endorfina scorre, ci sentiamo felici, siamo parte di una collettività solidale e invincibile, nulla ci può far male, nulla ci può fermare. Per questo motivo, da sempre si intonano canti di lavoro e di battaglia. La stessa funzione hanno i cori da stadio.

Se cantare in gruppo promuove l’interazione sociale e il senso di appartenenza ad una comunità, e fa bene al corpo e all’anima, cantare da soli può avere scopi terapeutici diversi. Serve al ragazzo che ha seri problemi di concentrazione nello studio, al cinquantenne angosciato che non vuole accettare la sua diagnosi di cancro, alla donna di settant’anni che deve combattere un dolore cronico o recuperare da un ictus. Per tutti, cantare serve ad affrontare e superare paura, dolore e rabbia, ad accordarsi con il Se più profondo, a riconnettersi con l’universo.

Articolo di Lorenzo Fiorito

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